Catania ed i suoi mercati storici, ovvero la città ed il suo riflesso. Pescheria e Fiera, o come più comunemente vengono chiamati "Piscaria" e "Fera'o luni", rappresentano luoghi fortemente radicati nella storia della città e in quella personale dei suoi abitanti, luoghi di cui si è tanto prodotto in parole, scritti ed immagini nei quali si ritrova l'anima più vera della città.
Scopriamo questa città parallela iniziando
dal cuore storico di Catania dove, in un contesto dominato dalla pietra nera,
che spicca nel basolato, nei portali ed in ogni elemento architettonico si
trova la Pescheria. Dietro la Fontana dell'Amenano di Piazza
Duomo, si apre Piazza Alonzo Di Benedetto, racchiusa
fra il prospetto laterale ed il Seminario dei Chierici, il restro di Palazzo
Pardo e l'edificio che si sovrappone alle Mura di Carlo
V. Le bancarelle qui si susseguono sin dentro la galleria che
attraversa le Mura di Carlo V e sino in Piazza Pardo, facendo assumere al
mercato del pesce le fattezze del souk arabo, caratterizzato dai banchetti di
mercanzie l'uno affiancato all'altro. Un mercato che ha il suo omologo nella "Vucciria" palermitana,
celebrata da Guttuso nell'omonima opera.
Pesce e commercio muri e storia, odori e
colori dominati dal rosso. Un tripudio di rosso: del sangue del pesce che tinge
marmi e ceppi, ma anche il basalto quando schizza per strada o cola dai
capretti infilzati dagli uncini davanti alle macellerie. Rosso come la carne
dei tonni o come i tendoni che offrono riparo dal sole e dalla pioggia,
illuminati dalle lampade della stessa tonalità. Ed ancora rosso, mischiato
all'azzurro segno di una fede calcistica fortissima: il Catania calcio le cui
altalenanti vicende di serie A diventano argomento di discussione, anche
accesa, fra i pescivendoli. E poi rosato, seppia, argento, oro: le tonalità del
pesce esposto, di ogni razza, di ogni specie.
Chi giunge qui per la prima volta rimane
stordito da tante sensazioni assorbite tutte insieme, in una bolgia a cui i
catanesi sono avvezzi e da cui svicolano con destrezza per chiudere l'affare
col pescivendolo di fiducia e tornare a casa. Odori, dicevamo troppo forti, di
sale e di mare ma anche di interiora; un profumo che fa il paio con il suo
opposto: il tanfo.
Catanesi e turisti osservano la vendita
del pesce in Piazza Alonzo Di Benedetto, dall'alto della balaustra che la
costeggia, sentendosi come a teatro: la scena è tutta dei pescivendoli. Sono
loro i protagonisti delle vanniate, le grida con cui decantano
in dialetto le virtù del prodotto: "fresco fresco", "il miglior
pesce", "pescato di lenza" ed ovviamente il prezzo. Grida che
talvolta, assumono il tono delle nenie, in quel nuovo paragone con i mercati
mediterranei ed orientali, miste alla innata platealità del catanese e condite
con smorfie, risa, finti litigi. Gesti, suoni, profumi che per i modi di vivere
e di commerciare svelano l'essenza di un popolo.
Scendendo nella piazza il piede affonda in
qualche centimetro di acqua, quell'acqua che è un pò il simbolo di questo
quartiere: il mare di cui giunge la brezza, la Fontana dell'Amenano, il fiume
che scorre sottoterra fino a sfociare qualche metro più in là, e la Fonte dei
sette canali, che si trova al'ingresso della Pescheria, alimentata dallo stesso
Amenano.
Nel tunnel con le volte altissime, si
ritrovano le bancarelle illuminate dalle lampade; dalla galleria si accede alla
Piazza Pardo passando sotto la Porta di Carlo V che mostra un portale
rinascimentale sormontato da un'epigrafe. La piazza è interamente ricoperta da
tendoni che proteggono dal sole. da qui si ammirano gli Archi della marina che
offrono anch'essi un riparo agli ambulanti. Vagando per il mercato si imprimono
nella mente istantanee di pesce sistemato con ordine rigoroso e simmetrico;
casse piene di triglie, "masculini" (alici), sauri,
"ope" (boghe), molluschi come le seppie ed i calamari ed
i polipi che tentano improbabili fughe verso la libertà; crostacei come gamberi
e la "strea" (cicala di mare); i frutti di mare che
riempiono le vasche: ricci, cozze di catania (telline) e di Messina, fasolari,
vongole, cannolicchi.
Ma il re, signori, permettetecelo, rimane
lui: il Pesce Spada (Spatu). L'inconfondibile spada attaccata alla testa
si allunga dal marmo del bancone verso l'alto. [...]
Perdendosi per le bancarelle risalta il
continuo lavoro di mani che afferrano, che muovono coltelli e affettano con un
tonfo sordo sul banco; mani che gesticolano, che pesano sulla bilancia, che si
allungano stringendo il denaro verso altre mani che lo afferrano e ne
restituiscono. La pesata e la contrattazione, scenari consolidati, che hanno un
finale già scritto: una "carezza" sul totale che il commerciante
concede ai suoi clienti anche sotto forma di un'aggiunta di pesce. Qui non è
solo il pesce il protagonista della scena. Anche le carni macellate e le
salsicce sul banco o appese nelle botteghe che si alternano in Piazza Alonzo Di
Benedetto e nelle vie limitrofe; e gli agrumi coloratissimi che nel periodo
invernale s'innalzano a piramide sulle bancarelle; le melanzane, i peperoni ed
i peperoncini rossi, le olive condite bianche e nere.
E quando il 3 Febbraio nel tunnel della
Pescheria, alla vigilia della Festa di Sant'Agata, giunge la candelora dei
pescivendoli, esplode la festa. La festa più bella, più sentita che unisce il
frutto e l'orgoglio del proprio lavoro alla Santuzza, a cui è dedicata la
scritta "W Sant'Agata" che si legge, luminosa all'ingresso del
tunnel.
Il pescato e le carni esposte, i banconi
di legno, i venditori senza camice, hanno fatto storcere il naso ad un medico
tedesco in visita a Catania il quale, sentendo proprio quel territorio compreso
fra il Baltico ed il Mediterraneo, ha preteso che le stesse regole che vigono a
Berlino siano applicate anche all'ombra dell'Etna. E così alcuni scatti
turistici finiti sul tavolo della Commissione Europea che ha subito disposto un
onchiesa sulle modalità di vendita del pesce a Catania. Una mortificazione per
i pescivendoli catanesi ma anche un'opportunità per la pesceria del nuovo
millennio: stop all'abusivismo, banchi di alluminio, maggior rispetto per
lenorme igieniche. Mediterranei ma europei: "masculini" e
banchi asettici; triglie di scoglio e guanto chirurgico; pesce di brodo e
temperatura controllata. Chissà se a Bruxelles sanno cosa significa "Mauru" (alga
di mare commestibile tipica della zona etnea inserita nell'elenco dei prodotti
autoctoni della Regione Sicilia).
Spostiamoci un chilometro e probabilmente
qualcuno dei nostri nonni stenterebbe a riconoscere un altro dei luoghi simbolo
della catanesità: la Fiera, o meglio la "Fera o'luni", come
ancora qualcuno la chiama in ricordo di un tempo in cui si svolgeva solo il
lunedì. Lo smarrimento coglie non certo per i luoghi, bensì per i volti di chi
opera qui che, pian piano, si sostituiscono ai precedenti: un avvicendamento
quasi etnico. Una parte dell'area adiacente Piazza Carlo Alberto viene
chiamata China Town, una colonizzazione che intacca i legami
più solidi della città. I cittadini di nazionalità cinese hanno in mano locali
ed appartamenti della zona adiacente Piazza Carlo Alberto, trasformati in
negozi di abbigliamento, giocattoli e deposito, oltre che in abitazione.
In Piazza Carlo Alberto le bancarelle
restano, sino ad oggi, ancora saldamente in mano ai catanesi anche se i
prodotti Made in China a basso costo affiancano quelli che i cartelli ben in
mostra assicurano essere italiani. All'ombra dei tendoni scoloriti dal sole
estivo, i catanesi sfoggiano la propria vocazione per gli affari e la
contrattazione, districandosi con abilità nelle diverse zone di vendita:
l'abbigliamento, le scarpe, gli utensili, le stoffe con cui cucire l'abito da
cerimonia e le tende; i prodotti alimentari e l'ortofrutta; la tecnologia dei
telefonini di ultima generazione. Alzi la mano chi, figlio di Catania e della
sua provincia, non ha mai indossato un capo acquistato alla fiera.
La Pescheria e la Fiera. Europea l'una e
cinese l'altra. Anche questa è globalizzazione.